Con il suo nome da fiaba, Castelvecchio di Rocca Barbena (SV) si presenta come un fiore di pietra sbocciato in cima a un dolce declivio della Val Neva. Il mare di Albenga è a soli 15 km ma quassù sembra un altro mondo: piccolo, raccolto, remoto, per pochi intenditori, come gli artisti che hanno scoperto Castelvecchio contribuendo al suo ripopolamento.
Al tramonto, l’ora buona in cui si accende il lume, il fumo che esce da un camino desta nostalgie ottocentesche, anzi porta ancora più indietro la memoria, fino ai tempi di Ilaria Del Carretto: prima di essere immortalata nel monumento funebre scolpito nel marmo da Jacopo della Quercia, la giovane figlia del marchese avrà passeggiato per i carruggi e coltivato nella rocca la sua composta bellezza. Il “sentiero di Ilaria” che congiunge astelvecchio con Zuccarello, l’altro castello che vide fiorire la sua giovinezza, permette oggi di ricordarla passeggiando tra i castagni e gli ulivi, tra i profumi della macchia mediterranea, nel silenzio che piace ai poeti.
Castelvecchio è il primo e il più bello dei borghi murati della Val Neva, avvolto a cerchio intorno al castello che lo domina.
Il castello fu costruito dai Clavesana nel XI secolo, quando ancora il luogo si chiamava Vallis Cohedani, toponimo misterioso che identificava una delle principali “vie del sale”, in grado di mettere in comunicazione la pianura piemontese con la Liguria di ponente attraverso lo scambio di olio, vino, grano, legname.
Ottenuta l’investitura imperiale del feudo, i Del Carretto hanno improntato di sé Castelvecchio come tutta questa parte di Liguria. Il castello rispecchia il carattere di questa fiera nobiltà di montagna che ha saputo resistere a vicini ben più potenti come i Savoia e la Repubblica di Genova.
Ad esso si accede inerpicandosi per le strette e tortuose viuzze che si diramano dal carruggio principale. Alla famiglia che oggi lo abita si devono gli interventi conservativi che lo hanno riportato a nuova vita.Il borgo si caratterizza per le antiche case in pietra, per i portali in tufo, i tetti a terrazza e i sottotetti ad arco (vîsà) in cui si essiccavano fichi e funghi, per le sagome dei forni sporgenti dai muri delle case, dove veniva cotto il pane per la comunità, e per le cornici bianche alla finestre, che richiamano motivi dell’area alpino-provenzale. Le case fortezza, collegate da archi in funzione antisismica sulle vie interne, si conciliano con l’aspetto mediterraneo delle coperture a terrazza, che conservano forse il ricordo delle origini: i primi abitanti pare fossero saliti fin qui dalla costa per sfuggire alle incursioni saracene. Tra le case arroccate alle pendici del castello c’è quella in cui Björn Afzelius componeva le sue canzoni. La chiesa dell’Assunta, pur avendo subito rifacimenti in periodo barocco, mantiene il campanile con cuspide dell’edificio originario. Su piazza della torre, dove un tempo era innalzata la forca, si affaccia l’oratorio dei Disciplinanti. Dalla strada che conduce al cimitero si può raggiungere il poggio su cui è edificato il santuario della Madonna delle Grazie (sec. XVII). Da qui è molto bella la vista sul borgo e sul paesaggio, dominato dalle fasce coltivate vicino alle case.
Sparse sul territorio comunale si trovano vecchie cascine, un tempo possedimenti del marchese e oggi mute testimoni delle fatiche contadine.